Il vice ministro della Giustizia USA blocca il procedimento contro Benedetto XVI per il documento «Crimen Sollicitationis» (*). Come capo di Stato il Pontefice non è processabile
ROMA - La Corte Distrettuale del Texas non si è ancora pronunciata in merito alla procedura giudizaria civile presentata contro Papa Benedetto XVI, accusato di complotto per coprire le molestie sessuali contro tre ragazzi da parte di un seminarista: ma dopo l’intervento dell’Amministrazione Bush è assai probabile che la denuncia venga respinta.
Il vice ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Peter Keisler, ha infatti bloccato la procedura giudiziaria ricorrendo alla cosiddetta "suggestion of immunity", una misura legale che stando a quanto stabilito dalla Corte Suprema dev’essere obbligatoriamente recepita dai tribunali di grado inferiore.
Keisler ha ufficialmente informato il tribunale che Benedetto XVI gode di immunità come Capo di Stato, sottolineando dunque che avviare il procedimento sarebbe «incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti», che dal 1984 hanno allacciato rapporti diplomatici con la Santa Sede. La stessa Ambasciata del Vaticano a Washington aveva chiesto all’Amministrazione di intervenire con la "immunity suggestion" e chiudere il caso.
Nel corso del mese di agosto, Daniel J. Shea, l’avvocato americano che aveva citato in giudizio il Pontefice quando era ancora Cardinale, era venuto a Roma su invito del partito Radicale; in quell’occasione aveva auspicato che George W. Bush non concedesse l’immunità diplomatica a Papa Benedetto XVI nell’ambito del procedimento - civile, non penale - aperto in Texas. Lo scomodo caso era approdato infatti anche sul tavolo del presidente degli Stati Uniti.
Insieme a Joseph Ratzinger, nel procedimento aperto nel gennaio 2005 sono citati l’arcivescovo di Galveston, monsignor Joseph Fiorenza e i sacerdoti Juan Carlos Patino Arango e William Pickard. Patino, colombiano di nascita, è attualmente latitante ed era stato accusato da tre giovani che frequentavano la chiesa di San Francesco di Sales, a Houston: le molestie risalirebbero alla metà degli anni Novanta, e contro il seminarista è stato aperto un procedimento penale.
Le accuse mosse a Ratzinger riguardano invece un documento emesso nel 1962 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: una "Istruzione" dal titolo "Crimen Sollicitationis", che sanciva la competenza esclusiva della stessa Congregazione su alcuni gravi delitti, secondo quanto stabilisce il Codice di Diritto Canonico, tra cui «la violazione del Sesto Comandamento (Non commettere atti impuri) da parte di un membro del clero con un minore di 18 anni». Inquadramento assurdo, secondo l’avvocato Shea, visto che a differenza degli altri delitti (dalla violazione del sigillo sacramentale a quelli contro il sacramento eucaristico) la pedofilia «è un reato, non un peccato».
Secondo il Vaticano il documento "Crimen Sollicitationis" sarebbe decaduto, ma secondo Shea non è così: l’avvocato aveva citato una lettera del 18 maggio 2001, di cui era giunto in possesso, firmata da Ratzinger e dall’arcivescovo Tarcisio Bertone, all’epoca segretario dell’ex Sant’Uffizio, in cui si parlava del documento del 1962 «in vigore fino ad oggi».
E’ sulla base di questa lettera che Shea aveva accusato Ratzinger di aver "coperto" le molestie sessuali su minori: «Questo documento dimostra l’esistenza di una cospirazione per nascondere questi delitti». Un’accusa «individuale, non legata alla funzione di Prefetto della Congregazione ricoperta da Ratzinger» secondo Shea. L’avvocato aveva raccontato che in un primo tempo Ratzinger non aveva risposto alle accuse, ma quando il processo ha preso il via, gli avvocati del Cardinale - a quel punto divenuto Papa, il 19 aprile scorso - avevano richiesto al Governo degli Stati Uniti l’immunità riservata ai capi di Stato. Il coinvolgimento di esponenti delle gerarchie cattoliche nelle inchieste giudiziarie sulla pedofilia non è insolito, ma di norma i procedimenti giudiziari non potevano essere avviati perché era impossibile consegnare agli accusati i documenti legali necessari: la denuncia contro Ratzinger è invece potuta andare avanti perché l’allora Cardinale ricevette personalmente l’atto di accusa. In agosto, Shea aveva dichiarato che in caso di concessione dell’immunità avrebbe dato battaglia: in primo luogo, perché all’epoca dei fatti contestati Joseph Ratzinger era un semplice cardinale, e poi perché "riconoscere la Santa Sede come uno Stato sarebbe una violazione della Costituzione statunitense", in particolare della "establishment clause" che proibisce leggi che proteggano in modo speciale confessioni o organizzazioni religiose.
21 settembre 2005
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(*)
DAL GENNAIO 2005 esiste presso la Corte distrettuale di Harris County (Texas) un procedimento a carico di Joseph Ratzinger. Insieme al responsabile della diocesi di Galveston Houston, l’arcivescovo Joseph Fiorenza, i sacerdoti Juan Carlos Patino Arango e William Pickand figura anche il nome dell’attuale pontefice. È chiamato in giudizio con l’accusa di aver coscientemente coperto, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sacerdoti accusati di abusi sessuali effettuati su minori. A muovere l’accusa, documenti vaticani alla mano, è l’agguerritissimo avvocato Daniel Shea, difensore di tre vittime di molestie pedofilia con alle spalle studi di teologia che ieri, non a caso in concomitanza con l’apertura della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, ha manifestato in piazza san Pietro insieme ad esponenti del partito radicale contro le coperture assicurate ai preti pedofili.
Tutto parte dal «Crimen Sollicitationis», un documento «strettamente confidenziale» del Sant’Uffizio a firma del cardinale Ottaviani del lontano 1962 che vincolava al segreto più assoluto, pena la scomunica immediata, tutti coloro, comprese le «vittime», che fossero coinvolti in procedimenti ecclesiastici riguardanti casi di pedofilia o molestie sessuali compiuti da religiosi. Secondo l’avvocato Shea quell’antica «istruzione» avrebbe avuto validità sino al 2001, così le gerarchie ecclesiastiche e vaticane avrebbero finito per «coprire» e favorire «deliberatamente» i «preti pedofili». La prova sarebbe in una nota dell’epistola «De Delictis Gravioribus» del 18 maggio 2001, che Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva fatto recapitare ai vescovi e agli altri ordinati e membri della gerarchia ecclesiastica. A questa accusa le gerarchie vaticane hanno risposto che le norme contenute nel documento del 1962 non hanno più alcun valore vincolante dal momento in cui sono entrate in vigore le disposizioni che nel 1983 hanno riformato il Codice di Diritto Canonico, ma per Shea la lettera di Ratzinger non lascia spazio a dubbi. Ora la Corte di Houston ha il potere di chiamare in giudizio Joseph Ratzinger, ma l’attuale pontefice, avrebbe avanzato «richiesta formale d'immunità al presidente degli Stati Uniti, che non ha ancora reso nota la sua decisione in merito». Il presidente George W. Bush può solo suggerire al tribunale di valutare questa opportunità. La Corte potrebbe autonomamente riconoscerla.
Questo non fermerebbe l’avvocato Shea che ha assicurato di essere pronto, pur di difendere gli interessi dei suoi assistiti, a ricorrere sino alla Corte suprema contro questa decisione. In nome della separazione tra Chiesa e Stato si dice pronto a chiedere la messa in discussione del riconoscimento diplomatico da parte di Washigton della Santa Sede come Stato sovrano.
1 commento:
26 settembre 2005
Preti pedofili, gli Usa non coinvolgono il Papa
da il corriere.it
Il vice ministro della Giustizia USA blocca il procedimento contro Benedetto XVI per il documento «Crimen Sollicitationis» (*).
Come capo di Stato il Pontefice non è processabile
ROMA - La Corte Distrettuale del Texas non si è ancora pronunciata in merito alla procedura giudizaria civile presentata contro Papa Benedetto XVI, accusato di complotto per coprire le molestie sessuali contro tre ragazzi da parte di un seminarista: ma dopo l’intervento dell’Amministrazione Bush è assai probabile che la denuncia venga respinta.
Il vice ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Peter Keisler, ha infatti bloccato la procedura giudiziaria ricorrendo alla cosiddetta "suggestion of immunity", una misura legale che stando a quanto stabilito dalla Corte Suprema dev’essere obbligatoriamente recepita dai tribunali di grado inferiore.
Keisler ha ufficialmente informato il tribunale che Benedetto XVI gode di immunità come Capo di Stato, sottolineando dunque che avviare il procedimento sarebbe «incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti», che dal 1984 hanno allacciato rapporti diplomatici con la Santa Sede. La stessa Ambasciata del Vaticano a Washington aveva chiesto all’Amministrazione di intervenire con la "immunity suggestion" e chiudere il caso.
Nel corso del mese di agosto, Daniel J. Shea, l’avvocato americano che aveva citato in giudizio il Pontefice quando era ancora Cardinale, era venuto a Roma su invito del partito Radicale; in quell’occasione aveva auspicato che George W. Bush non concedesse l’immunità diplomatica a Papa Benedetto XVI nell’ambito del procedimento - civile, non penale - aperto in Texas. Lo scomodo caso era approdato infatti anche sul tavolo del presidente degli Stati Uniti.
Insieme a Joseph Ratzinger, nel procedimento aperto nel gennaio 2005 sono citati l’arcivescovo di Galveston, monsignor Joseph Fiorenza e i sacerdoti Juan Carlos Patino Arango e William Pickard. Patino, colombiano di nascita, è attualmente latitante ed era stato accusato da tre giovani che frequentavano la chiesa di San Francesco di Sales, a Houston: le molestie risalirebbero alla metà degli anni Novanta, e contro il seminarista è stato aperto un procedimento penale.
Le accuse mosse a Ratzinger riguardano invece un documento emesso nel 1962 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: una "Istruzione" dal titolo "Crimen Sollicitationis", che sanciva la competenza esclusiva della stessa Congregazione su alcuni gravi delitti, secondo quanto stabilisce il Codice di Diritto Canonico, tra cui «la violazione del Sesto Comandamento (Non commettere atti impuri) da parte di un membro del clero con un minore di 18 anni». Inquadramento assurdo, secondo l’avvocato Shea, visto che a differenza degli altri delitti (dalla violazione del sigillo sacramentale a quelli contro il sacramento eucaristico) la pedofilia «è un reato, non un peccato».
Secondo il Vaticano il documento "Crimen Sollicitationis" sarebbe decaduto, ma secondo Shea non è così: l’avvocato aveva citato una lettera del 18 maggio 2001, di cui era giunto in possesso, firmata da Ratzinger e dall’arcivescovo Tarcisio Bertone, all’epoca segretario dell’ex Sant’Uffizio, in cui si parlava del documento del 1962 «in vigore fino ad oggi».
E’ sulla base di questa lettera che Shea aveva accusato Ratzinger di aver "coperto" le molestie sessuali su minori: «Questo documento dimostra l’esistenza di una cospirazione per nascondere questi delitti». Un’accusa «individuale, non legata alla funzione di Prefetto della Congregazione ricoperta da Ratzinger» secondo Shea. L’avvocato aveva raccontato che in un primo tempo Ratzinger non aveva risposto alle accuse, ma quando il processo ha preso il via, gli avvocati del Cardinale - a quel punto divenuto Papa, il 19 aprile scorso - avevano richiesto al Governo degli Stati Uniti l’immunità riservata ai capi di Stato. Il coinvolgimento di esponenti delle gerarchie cattoliche nelle inchieste giudiziarie sulla pedofilia non è insolito, ma di norma i procedimenti giudiziari non potevano essere avviati perché era impossibile consegnare agli accusati i documenti legali necessari: la denuncia contro Ratzinger è invece potuta andare avanti perché l’allora Cardinale ricevette personalmente l’atto di accusa. In agosto, Shea aveva dichiarato che in caso di concessione dell’immunità avrebbe dato battaglia: in primo luogo, perché all’epoca dei fatti contestati Joseph Ratzinger era un semplice cardinale, e poi perché "riconoscere la Santa Sede come uno Stato sarebbe una violazione della Costituzione statunitense", in particolare della "establishment clause" che proibisce leggi che proteggano in modo speciale confessioni o organizzazioni religiose.
21 settembre 2005
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(*)
DAL GENNAIO 2005 esiste presso la Corte distrettuale di Harris County (Texas) un procedimento a carico di Joseph Ratzinger. Insieme al responsabile della diocesi di Galveston Houston, l’arcivescovo Joseph Fiorenza, i sacerdoti Juan Carlos Patino Arango e William Pickand figura anche il nome dell’attuale pontefice. È chiamato in giudizio con l’accusa di aver coscientemente coperto, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sacerdoti accusati di abusi sessuali effettuati su minori. A muovere l’accusa, documenti vaticani alla mano, è l’agguerritissimo avvocato Daniel Shea, difensore di tre vittime di molestie pedofilia con alle spalle studi di teologia che ieri, non a caso in concomitanza con l’apertura della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, ha manifestato in piazza san Pietro insieme ad esponenti del partito radicale contro le coperture assicurate ai preti pedofili.
Tutto parte dal «Crimen Sollicitationis», un documento «strettamente confidenziale» del Sant’Uffizio a firma del cardinale Ottaviani del lontano 1962 che vincolava al segreto più assoluto, pena la scomunica immediata, tutti coloro, comprese le «vittime», che fossero coinvolti in procedimenti ecclesiastici riguardanti casi di pedofilia o molestie sessuali compiuti da religiosi. Secondo l’avvocato Shea quell’antica «istruzione» avrebbe avuto validità sino al 2001, così le gerarchie ecclesiastiche e vaticane avrebbero finito per «coprire» e favorire «deliberatamente» i «preti pedofili». La prova sarebbe in una nota dell’epistola «De Delictis Gravioribus» del 18 maggio 2001, che Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva fatto recapitare ai vescovi e agli altri ordinati e membri della gerarchia ecclesiastica. A questa accusa le gerarchie vaticane hanno risposto che le norme contenute nel documento del 1962 non hanno più alcun valore vincolante dal momento in cui sono entrate in vigore le disposizioni che nel 1983 hanno riformato il Codice di Diritto Canonico, ma per Shea la lettera di Ratzinger non lascia spazio a dubbi. Ora la Corte di Houston ha il potere di chiamare in giudizio Joseph Ratzinger, ma l’attuale pontefice, avrebbe avanzato «richiesta formale d'immunità al presidente degli Stati Uniti, che non ha ancora reso nota la sua decisione in merito». Il presidente George W. Bush può solo suggerire al tribunale di valutare questa opportunità. La Corte potrebbe autonomamente riconoscerla.
Questo non fermerebbe l’avvocato Shea che ha assicurato di essere pronto, pur di difendere gli interessi dei suoi assistiti, a ricorrere sino alla Corte suprema contro questa decisione. In nome della separazione tra Chiesa e Stato si dice pronto a chiedere la messa in discussione del riconoscimento diplomatico da parte di Washigton della Santa Sede come Stato sovrano.
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